Da dove arriva la voce di Zeta? Apparentemente dal luogo più inabitabile e muto: la malattia, in quel punto estremo che toglie possibilità, respiro, futuro. Ma è solo apparenza: questa voce proviene dal nucleo più irriducibile e infuocato della vita. Che non tace, non cessa di guardare e amare. E anzi, comincia qualcosa: a scrivere. È fragile lequilibrio che genera queste pagine. Per Zeta qualsiasi gesto ora è enorme, la fatica non solo fisica è in ogni momento fatale. E i ricordi sono uno squarcio lacerante nella memoria di una vita tenacemente irregolare: la nascita fuori dal matrimonio della bambina più amata del mondo, linfanzia sotto le bombe, Venezia splendida e meschina, il primo disastro sentimentale e poi Roma becera e vitale, lesperienza della psicanalisi, lavventura del femminismo, il cammino della malattia. E sempre la coriacea e gentile difesa della propria individualità, lirrisione delle tribù e delle cliniche cui ha rifiutato di appartenere. Così la storia della sua vita scorre laterale, vissuta intensamente ma mai accettata, come non fosse mai meritevole di piena identificazione. Con una lingua nitida, feroce, mai retorica, attraversata da una vena di sarcasmo che non concede nulla alla pietas, questo romanzo desordio scritto a settantanni affronta il più evitato degli argomenti: la sofferenza. Mai, lungo queste pagine, si può dimenticare che lautrice è malata, gravemente. Però basta uno spiraglio della finestra in cucina a far entrare un platano o un merlo.
